La Repubblica dei sogni: l’universo pittorico e letterario di Bruno Schulz

di Pierpaolo Pracca

Si gira e si rigira, ci si sfiora e ci si

 Incontra in simmetrici, sempre

 Ripetuti arabeschi

 Bruno Schulz, Primavera in Le botteghe color cannella

schulz4L’opera pittorica e letteraria di Bruno Schulz si sviluppa all’interno della comunità galiziana di Drohobycz provincia multiculturale e plurilinguistica della Polonia. E’ in questa enclave culturale di ebrei polacchi ed ucraini che Schulz riesce a creare la sua Repubblica dei Sogni elevando il suo status di insegnante di provincia a quello di uno dei più importanti autori del 900.

Sempre in questo contesto Schulz matura la sua personale visione del mondo che si esprime attraverso il favoleggiare e la creazione di storie che vengono partorite dalla sua fantasia, ora impresse in linguaggio letterario ora in immagini. Con entrambi questi registri espressivi egli costruisce un mito facendo di questo la lente prospettica attraverso la quale guardare il mondo. Il linguaggio e l’immagine diventano gli organi metafisici dell’uomo, i derivati della parola primitiva, quella che ancora non ha segno.

I primordi dei suoi primi disegni si perdono in una foschia mitologica fatta di cavalli, carrozze con fanali fiammeggianti. Immagini che affondano le radici nella sua fantasia, come quella del bambino portato dal padre negli spazi di una notte sconfinata; bambino che non riesce però ad avere protezione da braccia troppo sottili e trasparenti.

I primordi del mio disegnare si perdono in una foschia mitologica. Non sapevo ancora parlare e già ricoprivo tutti i fogli ed i margini delle gazzette di scarabocchi (…) All’inizio erano soltanto carrozze con cavalli: l’andare in carrozza mi appariva carico di significati e di recondita simbologia: Attorno al sesto e al settimo anno di vita ricorreva nuovamente nei miei disegni il motivo della carrozza con il mantice sollevato, i fanali fiammeggianti, che parte da una foresta notturna. Quell’immagine fa parte del ferreo capitale della mia fantasia, è come la matassa dalla quale si sprigionano in profondità molte fila (…)

Bruno Schulz, Lettera a Witkiewicz

Ed è proprio nel rapporto con il padre malato e sognatore e, di fatto, incapace, a contenerne le angosce che si comprendono le tematiche delle sue opere successive caratterizzate da uomini piccoli dilaniati dal complesso d’inferiorità rispetto a donne gigantesche che ne mettono a nudo l’anima sofferente.

Una carenza d’organo direbbe Adler che determina questa sintassi fatta di emozioni collegabili al senso d’inferiorità, di dominazione subita, ad un sentirsi schiavo che diverrà presto il leitmotive de Il libro idolatrico, raccolta di 28 incisioni annoverabile tra le opere più importanti dell’autore polacco. Il tema si mantiene su toni sadomasochistici e mette in evidenza il fascino erotico esercitato su Schulz da un femminile idolo e demonio ad un tempo onnipresente con il quale è possibile il contatto attraverso la sottomissione e l’umiliazione. Il libro è un vero e proprio manuale di sado-masochismo nel quale l’uomo è messo sull’altare della donna, in una sudditanza che ne fa un devoto adoratore. Si tratta di omuncoli che spariscono al cospetto di femmine avvenenti, rappresentate in abiti discinti. L’uomo e la donna, nelle sue incisioni, abitano due mondi diversi: un mondo elevato per canoni estetici quello della donna, basso e degradato quello dell’uomo. Donne ieratiche in atteggiamenti quasi pornografici dominano in modo impietoso uomini dalle sembianze di nani deformi che chiedono di essere umiliati. Elementi di feticizzazione per Schulz sono il piede e la scarpa femminile che al pari di sferze, scudisci e battipanni diventano strumenti di dominazione.

Il Libro idolatrico come ricorda Curci è un poema sulla ferocia dei piedi, la parte del corpo della donna con la quale essa sottomette l’uomo; i piedi torturano, calpestano, conducono all’oscura impotente frenesia gli uomini-mostri (nanerottoli macrocefali) umiliati nel tormento erotico. Un’impotenza metafisica che rende il maschio una nullità di fronte all’imperiosità della femmina, ma è in questa degradazione che ritrovano la loro più alta e dolorosa voluttà.

Nell’incisione Infanta-Bianka la figura della donna ha delle piccole ali fissate alle spalle mentre da sotto il suo vestito spunta una coda diabolica nel pieno rispetto del tema della femmina-strega descritta da Francisco Goya e da Ignazio Zuloaga. E’ chiaro il riferimento satanico ad una potenza di natura sessuale dalla quale l’uomo è schiacciato ed al tempo stesso escluso in una dipendenza ambivalente dove ne viene celebrata la magnifica terribilità.

Tra l’uomo e la donna vi è uno iato che si fa doloroso ed insopportabile oltre misura. Non una parola può salvarlo e redimerlo. Egli osserva un universo sconosciuto in ossequioso silenzio in una subalternità muta e adoratrice felice ed onorato di essere stato ammesso in un consesso femminile che ne tollera la presenza come quella di un bambino e nulla più. Ai terreni impervi del masochismo espressi in pittura fanno da pendant gli scritti fantastici di Bruno.

Il suo voyerismo, che rivela il bisogno di restare in disparte, nasce probabilmente dalle ore morte trascorse nel negozio paterno, un tempo vuoto descritto ne Le botteghe color cannella nel quale Schulz descrive il sarto inginocchiato davanti ad una donna nuda alla quale prende le misure per i vestiti avvolgendola in stoffe preziose. In questo gesto Bruno coglie la sottomissione e al tempo stesso una volontà di possesso non agita come se questi uomini-bambini non disponessero delle adeguate competenze fisiche e mentali per amare. Siamo di fronte ad una ad una curiosità per un erotismo perverso pregenitale. In ogni sua incisione, come in ogni suo scritto, è presente questa incapacità che si unisce ad un implicito rimpianto per un’infanzia avvertita come periodo nel quale ogni tensione è sopita e stemperata. Un’ età vagheggiata, una dimora fortificata che funge da rifugio, un mondo protetto e confortevole non ancora interessato dall’eros divisivo dell’età adulta.

Il ritorno agli albori, l’approdo al bozzolo sicuro sta a testimoniare un Edipo irrisolto, la mancata chiamata alla legge del padre. Ecco allora farsi strada l’idea del mito di un’età aurea, l’epoca geniale, il tempo messianico al quale tornare reso possibile dal maturare verso l’infanzia come soluzione ed emancipazione dal grigiore della vita ordinaria e delle sue umiliazioni.

Quest’epoca geniale, dunque, ci fu o non ci fu? Difficile rispondere. E sì, e no. Ci sono infatti cose che completamente, fino in fondo, non possono accadere. Sono troppo grandi per rientrare in un avvenimento, e troppo magnifiche…e poi nella nostra biografia restano quelle macchie bianche, stimmate odorose, quelle perdute orme argentee di piedi nudi angelici, disseminai a gran passi lungo i nostri giorni e le nostre notti (…)

Bruno Schulz, Il libro ne Le Botteghe color cannella

 Questo nostòs ci redime dalla vita che non abbiamo vissuto, dagli amori ai quali abbiamo rinunciato, dalla felicità che non siamo stati in grado di cogliere. L’infanzia per Schulz è il sogno anelato di un ritorno ad un Grande – Uno organico che altri non è se non il desiderio fantasmatico della fase pre-edipica dell’esistenza.

E’ il tempo mitico e mitizzato, un’età dell’oro nella quale non vi è morte, la nostalgia per la Cosa di lacaniana memoria e cioè quella dimensione della coscienza che per i mitologi coincide con il tempo del caos e che per la psicanalisi è il tempo pre-edipico nel quale il padre non è ancora intervenuto nello spazio esistenziale del bambino. Padre che con la sua azione castrante favorirà, in seguito, la sua individuazione rispetto alla figura materna.

Ed è proprio questa mancata individuazione, la con-fusione con il materno, che si intravvede molto chiaramente nei suoi scritti dove la nostalgia per il mondo della grande madre, nella ambivalenza di nutrice e divoratrice dei propri figli ci offre l’idea di un femminile di straordinaria potenza creatrice capace di prescindere dalla presenza maschile, come se, questa sfrenata creatività avvenisse per partenogenesi ed autogenesi.

(…) C’era qualcosa di tragico in quella fecondità infuocata e smisurata. C’era la miseria di una creatura che lottava ai limiti del nulla e della morte, c’era una sorta d’eroismo della femmina trionfante, per fecondità, perfino su una mutilazione della natura, sull’insufficienza del maschio. (…)

B. Schulz, Agosto

E quale migliore invenzione letteraria può dar segno di questo ritorno tanto anelato se non il motivo del grande meriggio e della metamorfosi dei corpi che nella natura, durante la canicola estiva, si decompongono al pari della frutta e delle piante, tornando alla terra?

In Schulz esiste un’attrazione-repulsione di fronte all’indecenza dei frutti maturi che si lasciano cadere e che, putrefacendo, ritornano alla madre.

In questo modo si ritorna dentro il grembo della Cosa, all’indifferenziato in virtù di un rito metamorfico che trasfigura l’umano in una sorta di pseudo vegetazione e pseudo fauna quale risultato di una fermentazione fantastica della materia.

La fermentazione della realtà e cioè la materia- madre si nutre dell’uomo che essa stessa ha creato.

Il folto groviglio d’erbe, gramigne e cardi brucia crepitando al fuoco del pomeriggio. Vibra del ronzio delle mosche la siesta pomeridiana, Le stoppie dorate stridono al sole come fulve cavallette; nella pioggia scrosciante del fuoco strillano i grilli; i gusci pieni di semi scoppiano sommessamente come larve di cicale. (…) l’esuberanza dell’agosto, immonda esuberanza di femmina, esplodeva in sordi fossati di bardane giganti, ostentava distese d’immense foglie pelose, lingue lussureggianti di vegetazioni carnose.

B. Schulz, Agosto

La natura che, in Schulz come in Pavese, è portatrice di significati sessuali.

Sotto il sole, tempo, cosmo e natura si confondono; la distanza tra l’universo e la terra viene sconvolta. Uomini, animali e piante si abbandonano all’incessante e disorientante poetica della metamorfosi.

Metamorfosi che, istigate dal caldo, in Schulz danno sfogo all’estate in un’immonda esuberanza di femmina, un’orgia pagana che prelude ed allude all’assimilazione dell’uomo da parte della natura-madre.

(…) Nessuno sapeva che quell’estate l’agosto celebrava proprio là la sua grande orgia pagana. (….)

(…) Bruciati dal sole, stridono i cardi, si gonfiano le bardane ostentando la loro carne impudica, le erbe sputano luccicanti veleni, mentre l’idiota arrocchita dal grido in preda a selvagge convulsioni, strofina con foga iraconda il fianco carnoso contro il tronco del sambuco, che scricchiola adagio sotto l’imperversare di quella sfrenata sensualità, eccitato da tutto quel miserabile coro a una snaturata, pagana fecondità (…)

B.Schulz, Agosto

In questo brano di Agosto, Tuja, l’idiota del villaggio, in un meriggio infuocato, si abbandona ad una forza bestiale; accade qualcosa di spaventoso nell’ abbandonarsi alle forze caotiche dell’inconscio, una perdita dell’identità che prelude al ritorno ad una totalità primordiale.

Si tratta della grande festa rituale che a livello mitologico, coincide con il caos che trova ordine in un tutto, il ritorno allo stato edenico della simbiosi madre-bambino, l’immane regressione all’infanzia.

Logico pensare che l’imbestiarsi venga amplificato da Schulz a legge cosmica. L’uomo ritornando ad uno stato di natura abdica alla differenza tra vita e materia, tra organico ed inorganico in ossequio al desiderio di essere riassorbito dal seno materno. Viene celebrata l’onnipotenza infantile provata dal bambino nella simbiosi con la madre. Onnipotenza che è necessariamente legata ad uno stato di potenzialità assoluta. L’imbestiamento estingue così le differenze tra l’io ed il mondo, tra l’io e la storia, tra io e parola.

Stiamo parlando di una fase della vita nella quale il bambino ancora non si è separato dal mondo della madre con il linguaggio e dove la parola primordiale non indica oggetti specifici, ma una grande universale interezza. E’ il rapporto naturale con gli oggetti di cui vanno in cerca i personaggi di Schulz, al di là della parola parlata che stabilisce una separazione tra l’io e la cosa.

Mi portavo dentro allora il mito di un’età geniale, che presumibilmente faceva parte della mia vita, non localizzata in alcun anno del calendario, sospesa al di sopra della cronologia, un’epoca nella quale tutte le cose respiravano nel bagliore divino

B. Schulz, Le botteghe color cannella.

Nel superamento della parola parlata Schulz trova rifugio nel Primo Linguaggio che è quello del mito, un linguaggio essenzialmente visivo fatto di segni dello stesso genere della natura, espressione di un rapporto naturale con gli oggetti. Un linguaggio magico, grazie al quale gli dei, in illo tempre, diedero senso e vita al mondo. Si tratta del linguaggio in grado di far parlare ciò che per sua natura è muto; è la divina folgorazione in cui l’archetipo appare sotto forma di modello risvegliando la conoscenza attraverso il linguaggio dell’ emozione e della visione. Per questo non occorre la mediazione del linguaggio: per il fatto che tutto si compie.

(…) E tutti coloro che in quel giorno dorato portavano sul viso la stessa smorfia di calura, quasi che il sole avesse imposto ai suoi adepti un’unica maschera e identica maschera , la maschera dorata della fraternità solare; e tutti coloro che in quel giorno camminavano per le strade, che si incontravano, si incrociavano, giovani e vecchi, donne e bambini, si salutavano al passaggio con quella stesa maschera d’oro dipinta sul volto, barbarica maschera di un culto pagano. (….)

B. Schulz, Agosto.

Il mito legato all’infanzia, diventa la cifra interpretativa delle sue opere, quella preistoria della vita nella quale viviamo un contatto diretto con la natura, un sentimento di comunione grazie al quale si ha rivelazione delle cose; è la fase nella quale non si è realizzato il nostro  essere per la morte– l’avveramento di un’ epoca geniale.  Il sogno regressivo di una grande pace che farà dire a Schulz:

Il mio ideale è maturare verso l’infanzia. Questa sarebbe l’autentica maturità

Quella stessa infanzia che per il mito coincide con l’epoca di Cronos e dei Titani, dove animali, piante e uomini sono confusi, il grande grembo materno dove gli opposti coincidono.


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